Il Conciato Romano non è un formaggio che si può dimenticare. Ricordo bene una serata a La Botte di Caserta lo scorso inverno (vai al post precedente) nel quale questo straordinario prodotto riempì l’aria della sala. Annunciava la sua presenza come tutti i grandi formaggi. Come quelli che dal frigorifero ti assalgono affinché li porti in tavola. In molte case francesi questa è la prassi. E non dicono che il frigorifero “puzza”. Al contrario: che “profuma”. Un pò come una ballerina di classica, esile e leggiadra, non “suda” ma “brilla”. Come dargli torto? Una semplice equazione del gusto è: una cosa più “puzza” (in fondo puzza non è), più è buona.
Ciance a parte, il Conciato romano, ottenuto dalla lavorazione del latte di pecora e poi stagionato in ambiente privo d’aria all’interno di vasi di creta, come molti altri prodotti della tradizione, non avrebbe avuto un presente se non avesse trovato chi lo amasse e difendesse dagli attacchi della modernità e della omologazione del gusto. Ce l’ha, grazie ad un giovane casaro di Castel di Sasso (Caserta), che non ho conosciuto (meglio di me: vai al bel messaggio di Luciano Pignataro sul suo blog), ma del quale ho sentito narrare le gesta. Non epiche. Ma semplici, indispensabili, atti di un lavoratore, di un artigiano.
Grazie all’impegno di Fabio Lombardi il Conciato Romano è oggi su tutti i libri dedicati al formaggio e nella grande Enciclopedia della Gastronomia italiana di Slow Food. Martedì 21 ottobre alle 19,00, presso la sala del Teatro Comunale di Caserta si svolge, su iniziativa della delegazione Ais di Caserta, dell’Onaf e di Slow Food, un incontro in suo onore. Si parlerà, con gli amici e la famiglia, di lui, del Conciato, de “Le Campestre”, l’azienda dei Lombardi, e dei prodotti del territorio. Durante la serata sarà presentata una pubblicazione per ricordarlo e sottolineare il valore del suo lavoro. Seguirà una degustazione.
Sono queste le gesta che rendono eterni, e l’amore e la stima di coloro che le vogliono ricordare.