La Piana del Sele torna ad incantarmi con il suo sole che sembra non tramontare mai, una natura che convive con una antropizzazione quantomeno operosa e un non so che di sereno, misto ad appetitoso evocato dai carciofi, dalle tante produzioni agricole e da quelle radiose presenze nere delle bufale.
Per non parlare della foce del fiume che appare ancora bellissima, la lunga fitta striscia di pineta della Litoranea su cui si affacciano gli hotel per banchetti, i lidi e i caseifici. E ancora: i maestosi templi di Paestum che per grandiosità e stato di conservazione fanno concorrenza a quelli della Acropoli di Atene, come a quelli di Selinunte e Segesta, in provincia di Trapani. Ancora una volta ci sono tornata in questi giorni per le selezioni della Guida dei Vini Buoni d’Italia sotto il coordinamento del giornalista Luciano Pignataro. Oltre venti degustatori per individuare la rosa delle etichette, tutte degustate a campioni rigorosamente coperti, che potrà ricevere le Corone, le Menzioni e entrare in guida. Si è iniziato quest’anno alle 9,30 del 3 giugno. La sera prima, come ogni anno, ormai, si svolge la visita rituale al cavò dell’hotel che ospita le degustazioni, l’Esplanade di Paestum. Quest’anno Campania, Basilicata e Calabria si sono presentate davvero con un gran numero di campioni: circa 800. E’ spettacolare il colpo d’occhio che offrono una volta entrati nella sala che li vede disposti come su una serie di tavoli operatori. La sensazione è quella di essere circondati dalle bottiglie, mentre cresce la curiosità e si pregusta il piacere di degustarli l’indomani. Saranno coperti, modalità che rende possibile il grande miracolo con cui il vino si concede poco a poco e scambia con il degustatore piccoli sospiri e lunghi scambi di idee.
C’è il tempo durante i lavori per qualche visita alle aziende del territorio. Quest’anno, nel pomeriggio di ieri, abbiamo scoperto la nuova sala degustazione e caffetteria del Caseificio Barlotti, storica azienda allevatori e di produttori di latte che con i suoi 330 capi, lavora 20 quintali di mozzarella al giorno. Ci accompagna, nel percorso odoroso ci porta dalle stalle, con i loro sentori di fieno, sterco e salmastro; al bouquet dolce, floreale e vegetale del latte nella sala dove il personale della azienda lavora le mozzarelle, Nando Barlotti. Il processo: un bianco tam tam di “bolli”, “gira”, “fila” e “mozza”, ritmato dal succedersi di “caldo” e “freddo” dell’acqua e del latte, che va avanti per oltre otto ore al giorno e che si conclude con una firma: quella di colui che “mozza” la pasta filata. Fuori, le bufale, nere e pacifiche, dal naso “gommoso” e umido, la lingua lilla e grossi occhi di onice piantati tra i peli lunghi. Ci racconta il signor Barlotti della loro vita, di come sorprendentemente rispettino la routine del pasto e della mungitura secondo un ordine fatto di gerarchie tra animali e una sorta di buone maniere da mammiferi. Una di loro mi lecca il palmo della mano lasciandoci sopra il profumo di fieno.
Caffè, gelato di latte di bufala, e si rientra all’hotel per l’ultima tornata degustazione e il doppio esame dei Taurasi con i quali si era iniziato il giorno 3 in ossequio ad una bella novità di questo 2009: la degustazione alla maniera anglosassone introdotta da Pignataro con la quale si finisce con i bianchi. La rosa delle etichette è composta. In attesa delle finali. Per dettagli qui.
Foto: ricotta, treccia di mozzarella, yogurt e provola di bufala e soppressata e “bresaola” di bufalo del Caseificio Barlotti