Caffè Lazzarelle |
Prendere il caffè al mattino è per ognuno, per ogni buon napoletano, un atto automatico. Tra veglia e sonno si mette l’acqua, si riempe il passino, si accende il fuoco e ci si butta in un angolo per aspettare di sentire la moka cantare “il caffè è salito”. A volte, sopraggiunto il sonno non esausto della notte, il canto della moka diventa un grido “il caffè è salito!”. E ancora: “il caffè è pronto!”. “Il caffè bolle!” “Il caffè brucia!”. A chi non è capitato di inondare il piano cottura o, peggio, di ritrovarsi il caffè proiettato sul soffitto? Con la moka bruciata e ansimante in un angolo della cucina?
Ma stamani la storia è un’altra.
Mi sono svegliata con il pensiero della mia amica dietro le sbarre (che espressione brutale! Da vecchio film Western), quella che questa mattina nella mia tazzina ha concentrato le sue speranze di riscatto. O forse la disperazione, la disillusione, la sfiducia nel futuro.
La immagino intenta a lavorare i chicchi di caffè provenienti da Costa Rica, Colombia, Guatemala e Uganda nel suo laboratorio di Torrefazione allestito nella Casa Circondariale di Pozzuoli.
Caffè Lazzarelle ha un packaging grazioso (privo di alluminio e semplice da riciclare) e insolito per un caffè: bianco e rosa. Contro il solito marrone, nero e rosso.
Non un messaggio di forza, dunque. Non una promessa di sconvolgerti il mattino con una scossa elettrica di energia, ma una richiesta al femminile di accoglienza. “Prendiamo un caffè insieme, amico mio che compri il tuo solito caffè” sembra dire questa confenzione da 250 grammi, acquistata in un negozio del commercio equo e solidale:
A dispetto del formato, questo pacchetto che mostra una locomotiva che sbuffa vapore sotto il Vesuvio (Movimento. Non privo di fatica. In salsa partenopea), ha un gran peso nella vita delle donne “ristrette” che si occupano, leggo sulla etichetta, della intera produzione. Fa parte di quelle attività destinate “alla crescita professionale e al futuro reinserimento delle lavoratrici detenute una volta libere”.
E allora stamani prendo il caffè con le Lazzarelle “ristrette”. Mi piace la scelta di questa parola. “Ristretta”. Una parola che fa pensare a una difficoltà passeggera. Non dissimile da quella di chi si trova a corto di soldi, di chi non arriva a fine mese, di chi ha fatto un investimento sbagliato.Nella vita di queste “Lazzarelle” deve essere andata così: qualcosa si è inceppato. Mentre sorseggio il mio caffè, il mio pensiero vola verso di loro, salta il muro di recinzione e si infila nella serratura nella quale scorre la chiave dell’ora d’aria o del laboratorio di torrefazione.
“A te che hai lavorato con amore questo caffè auguro ogni bene. Chi lavora con impegno e lo porta con fierezza scritto in faccia, ha sempre un’opportunità di far valere se stesso e di ritrovare il suo equilibrio. Credici davvero. Fatti guidare con pazienza lungo questo cammino che porta fuori o che solo porta dentro di te. In bocca al lupo, il tuo caffè è buono davvero“.