Campania che vai è a lutto.
Non va, non va, non va. La Campania e Napoli non vanno. Lo dico proprio io, si, che caparbiamente da queste pagine provo a sostenere il contrario da svariati anni.
Cosa fare? Di fronte alla deriva culturale del nostro Paese e a quella politica, al dissiparsi delle fiducia e dell’impegno ideologico, come reagire?
La Città della Scienza se nè andata. L’unico presidio di una Bagnoli ombra di un passato da dimenticare, un’area potenzialmente bellissima che nessuna amministrazione, da quando sono stati spenti gli altiforno, ha saputo recuperare, è andata in fumo. Niente più visitatori, attività per bambini, caffetteria, attività didattiche e eventi vari. A quanti ho partecipato lì, e quante volte, guardando il mare di fronte – io, come molti altri – mi sono detta “ahhh … come sarebbe bello!”.
Un grosso sospiro e via: a tirare avanti come sempre dissimulando la pena nel cuore.
Bagnoli. Non ha diritto a vivere, questo pezzo di terra? Deve rimanere soffocata dal cemento e dai resti di un’attività che era, solo apparentemente, pensata per lo sviluppo del territorio.
Centinaia di ettari sottratti da decenni alla Comunità. E ogni estate si ripete il tran tran dei crolli e delle sabbie inquinate, dei divieti di balneanzione. Con i napoletani ridotti a bagnarsi nelle acque del Golfo perchè messi in ginocchio da un’economia che fa acqua da tutte le parti, che non possono neanche stendersi sulla sabbia della propria terra. Nessun refrigerio o consolazione, per chi resta in città. Il loro tuffo è spezzato.
Resta quello nell’oblio senza scampo.
Il mare non bagna Napoli. Non è Barcellona, come tanti amministratori hanno millantato di voler fare. Non lo sarà mai, e potrebbe essere perfino meglio.
Un giorno mio padre mi disse, avevo 6 anni: “son certo che Bagnoli non la vedrò risistemata …e neanche voi!”. Profetico. Avrebbe voluto scappare da Napoli, ma lo trattenemmo noi. Eravamo in quell’età in cui gli amici e la scuola sono tutto il tuo mondo e pensare di perderli è peggio di una condanna. Oggi lo precederei nella fuga.
Napoli è bella, bellissima. Raramente ho visto di meglio nella mia vita, per quanto abbia viaggiato.
Ma non va avanti, non avanza. L’unica cosa che cresce è la disillusione.
Cose inconcepibili altrove sono ormai la normalità, la gente abbrutita e senza speranza. Lontana dal bene pubblico e dalla politica, mille anni luce. Bastano una busta di spesa e una lavatrice, la promessa palesemente falsa di un beneficio qualunque, perchè, a Napoli, ti regalino il proprio voto. Tanto vale la speranza. Poche decine di euro.
La città, in linea con il precipitare della situazione nazionale, è allo sbando. Si prova a fare il proprio lavoro senza pensarci.
Ma basta che ti soffermi un attimo per essere sopraffato dai perchè. Uno dei tanti, il più drammatico, è “perchè sono ancora qui?”.
Ci si dibatte, ci si sbatte, ci si abbatte: ogni sforzo sembra disperdersi nell’oceano di cose che non funzionano. Un mare nostrum di problemi, uno legato all’altro, del quale non si riesce a trovare il bandolo. La criminalità organizzata, uno su tutti. E l’incoscienza del nostro Stato di pensare che fosse un problema solo del Sud. La perseveranza di nascondere la testa sotto la sabbia, mentre in tutta Europa, come nel Nord Italia, queste realtà si fanno largo e deturpano la realtà che toccano come già è stato da noi.
Napoli chiede aiuto. I suoi problemi sono di tutti. Un’emergenza nazionale.
Perchè Napoli è l’immagine più vera di un’Italia malata e anche la previsione di quello che potrà diventare il Paese senza una guida pulita e sicura.
Nonostante ciò ha diritto a vivere. Ora.