Come degustare un vino e quali di Napoli sono esemplificativi dei suoi micro territori. Lo ho scritto in parole semplici per Where di agosto. mp
La passione per il vino dilaga. Piace a un pubblico maturo e conquista anche strati via via più giovani della popolazione trasformandone il rapporto con l’alcol. Il vino si oppone alla subcultura “fast” dei superalcolici e dei cocktail raccontando di sé, dei territori d’Italia e delle persone.
L’approccio che richiede è “slow” ed infatti il primo step da compiere perché esso si apra al degustatore è “metterlo a suo agio”. Come quando si fa accomodare una persona in salotto per condividere una serata. Un bicchiere panciuto, con una bocca più o meno ampia è indispensabile. Non può mancare il gambo. E non per vezzo sterile. Ma perché esso consente al liquido di mantenere la giusta distanza dalla mano che lo scalda e gli trasferisce i suoi umori.
Pochi vini, molto invecchiati, richiedono la scaraffatura, l’uso del decanter. In generale un buon rosso va solo aperto una mezz’ora prima di servirlo. Per assicurarsi che si conservi integro nel tempo è bene conservarlo in un luogo fresco e buio. Meglio se a temperatura costante. I nostri nonni avevano la fortuna di potersi avvalere di cantine naturali ma con l’urbanizzazione spinta i semplici locali di un tempo si son trasformati in sofisticate cantinette termo condizionate.
La degustazione, al di là di noiosi fanatismi, si avvale di una tecnica che innanzitutto facilita il confronto con gli altri. Ma, a meno che non si degusti professionalmente, non vale la pena perder tempo con la rumorosa (e a volte sconveniente) procedura di schiacciare il vino sul palato, dell’insufflare aria e “strippare” il vino fra i denti. Basta tenerlo un po’ in bocca per cogliere alcune caratteristiche salienti.
Semplificando: la durezza – morbidezza, la struttura e la lunghezza.
In maniera intuitiva tutti colgono l’acidità, la sapidità e la tannicità (astringenza) del vino che degustano. Anche se non le chiamano per nome. Si tratta degli aspetti che attengono al primo gruppo di sensazioni.
Ma spesso c’è chi confonde il concetto di dolcezza con quello di morbidezza. Due cose completamente diverse. La prima dovuta al tenore zuccherino e la seconda alla rotondità con cui esso esprime l’alcol e la presenza dei tannini. Elementi, questi, che sottolineano, con differenze marcate tra vitigno e vitigno, e anche in base alle tecniche di cantina, i vini rossi.
La struttura è un parametro che ha a che vedere con la pienezza di bocca del vino. Che ne pesa ossa e carne. Dove quest’ultima è legata alla percezione di quanto il vino impegni i nostri sensi in bocca, anche a livello tattile. Un aspetto in parte attribuibile alla materia stessa del vino, quella che si apprezza sul fondo delle vecchie bottiglie e che il bravo sommelier cura di non riversare nel bicchiere. La lunghezza è invece quella che da ad ogni sorso una durata. Il vino in bocca si distende e allarga, cammina regalandoci nel tempo sensazioni svariate in base alla nostra memoria sensoriale. Possiamo contare i secondi nei quali dispiega le sue caratteristiche. Se ci accompagna a lungo e gradevolmente, se ci emoziona con una lunga scia saporosa è un gran vino.
La varietà dei vitigni campani disegna un panorama antropico e agricolo molto articolato. Uno scenario che si è conservato uguale a causa di una certa chiusura al nuovo che si è fatto pregio. Aglianico, Piedirosso e Falanghina sono i vitigni principe della viticoltura regionale. Grandemente presenti nel napoletano, terra madre di tante ricette da abbinare. Analizzando Napoli dal punto di vista del vino possiamo ricondurla ad alcune aree significative: la città, i Campi flegrei, il Vesuvio, le isole e le terre della Penisola Sorrentina. Iniziamo il viaggio.
VIGNA ROSIELLO
Santo Strato, il Piedirosso in purezza di Rosiello è una delle tre etichette provenienti dai 4 ettari di proprietà di Salvatore Varriale, sommelier ed oste. Non tutti sanno infatti che il patron del noto Ristorante con bella posizione panoramica sulla collina di Posillipo autoproduce il suo vino. La vigna la si ammira affacciandosi dalla terrazza del locale. Siamo di fronte a un rosso classico della tradizione napoletana. Rosso rubino e fruttato, con la caratteristica vena acida del vitigno. Una etichetta senza grilli per la testa, ideale per la cucina di terra della tradizione partenopea ma anche per alcuni piatti di mare elaborati. Perché no? Una genovese di polpo o di tonno.
MOCCIA
Un’azienda davvero contadina con vigne nel cratere Astroni su terreni che definire sabbiosi è poco. Due le etichette di falanghina. Raffaele Moccia riesce con il Vigna del pino a portare il vitigno bianco più amato e coltivato della regione a livelli altissimi. Complici i terreni vulcanici che regalano nuances idrocarburiche e della parziale fermentazione in legno. Un vino pieno e lungo da abbinare anche ad alcune carni bianche. Il coniglio alla ischitana, ad esempio.
VILLA DORA
L’Azienda della famiglia Ambrosio a Terzigno vanta una antica tradizione nel settore olivicolo. Ma è dei suoi vini che fa parlare. Il Lacryma Christi bianco Vigna del Vulcano esprime grande perfezione olfattiva e espansività in bocca. La coda di volpe e la Falanghina sono coltivate sul Vesuvio in 12 ettari tra cielo e mare. Il vino ha tutta la mineralità che si può desiderare per un vino che viene da terreni con queste caratteristiche chimiche. Perfetto da abbinare con i crostacei non lesinando struttura e lunghezza di bocca.
MAZZELLA
Nata nel 1940, la Cantina di Antonio Mazzella è oggi portata avanti dai figli Vera e Nicola. Il Vigna del Lume è una selezione di uve Biancolella e Forastera. Un vino emozionante, dorato e luminoso che regala al naso ricchi sentori di frutta matura e fiori, su uno sfondo minerale. Ma anche un vino impossibile se si pensa che viene da una vigna nella quale si vendemmia provenendo da mare, tanto è remota.
SANNINO
Tutti associano al nome di Ercolano quello del notissimo sito archeologico. Ma la prosperosa cittadina vesuviana è anche un centro agricolo antico. Qui la famiglia Sannino ha le proprie vigne. Il loro Gragnano fa onore a una tipologia tradizionale della zona: un vino rosso frizzantino da spendere sulla cucina a base di ministre e verdure tipica del capoluogo. Un vino gradevole e divertente anche come aperitivo e ricco di sentori di frutti rossi. Un lieve abboccamento non toglie pulizia al sorso che finisce asciutto e sapido. Ci piace sulla pizza.