Un bel seminario questa mattina ha concluso la tappa amalfitana di Campania Wine Stories di Miriade e Partners che quest’anno inizia il suo percorso logistico doppio dopo aver allargato dai bianchi irpini, al rosso Taurasi, il suo sguardo a tutti i vini campani.
Il seminario con Paolo de Cristofaro, Mauro Erro e Gianpaolo Gravina ha esplorato i biotipi, i pedoclimi, gli areali e le potenzialità della Falanghina offrendo un inquadramento chiaro soprattutto ai colleghi esteri , numerosi, intervenuti. Un seminario unico nel suo genere per il solo fatto di non aver parlato, con tanta dovizia, dei soli Fiano e Greco, fratelli ricchi del gran vitigno campano.
Poi una degustazione di oltre una dozzina di campioni del 2012, 2011, 2010, 2009 e 2007. Della Falanghina, con il suo biotipo, Beneventana; di quella Flegrea (altro biotipo), di quella casertana – con l’importante realtà del Falerno Bianco – e qualche cenno alla presenza a Salerno e nelle altre regioni italiane. Come Molise, ma anche Puglia e Lazio.
Un vitigno di gran successo commerciale, si è detto, le cui potenzialità si stanno esplorando, grazie al lavoro di una ventina di aziende più impegnate, per tirar fuori caratteristiche meno tipiche del vino beverino che la Falanghina ha voluto essere finora. Per esplorare la possibilità di una maggiore capacità di invecchiamento, per esempio.
Campioni tutti validi, con rari casi di campioni un pò sopra le righe, e molto chiaramente descrittivi della differenza base: beneventana e flegrea. L’una più fruttata e l’altra più minerale.
Interessante sul finire l’osservazione dei colleghi sul finale amaricante di certi campioni, sensazione che è da attribuire ai terreni, specie nel caso flegreo. Alla gestione della mineralità ma anche, direi, alla necessità di capire quanto ancora la Falanghina può esprimere nella coerenza naso bocca. Essendo i nasi quasi sempre molto più interessanti, avvolgenti, che le bocche. Alcune un pò magre e alcune un pò corte.
Non sembra giusto liquidare una questione così interessante semplicemente ricordando che stiamo parlando di Falanghina (Come a dire: “ma che vuoi: è una Falanghina!” Come si faceva un tempo) perchè l’assunto di base è proprio l’opposto, che la Falanghina possa essere un pò lo Chardonnay del Sud.
Adattabile e quindi anche molteplice. Anche importante.
E che possa far ancora meglio.
Il mio parere è che la produzione sia, già così come è, soddisfacente se si pensa al solo vino da pronta beva, da stappare al massimo a due anni dalla vendemmia.
Ma forse, concordo, può far meglio e di più. E alcuni produttori lo dimostrano.
Non trovo “difetto” l’amarezza (si è detto ammandorlato) di alcune Falanghine in degustazione oggi, ma forse “sgraziatezza” sul finale, da attribuire alla ricerca, forse a volte esasperata, di un corso nuovo per la Falanghina: l’acidità, la freschezza, con ciò spingendo sulle durezze. Ma più che mandorla amara, pure accennata in alcuni, vedo un vegetale di carattere mediterraneo. Origano, timo, per capirci.
I 2007 degustati (gli giova, dunque, l’affinamento!), anche con i limiti della annata, non avevano questa nota di chiusura. Ed erano molto interessanti. Vi dirò più avanti.
Raffaele Ferraioli – Da Bacco fotomonicapiscitelli |
Dopo la bella accoglienza all’Hotel Le Rocce di Agerola, a un passo da Furore, un salto Da Bacco per il pranzo. Ci torno con gran piacere.
Questo locale fresco e gradevole mette appetito solo a varcarne la soglia. La vista è mozzafiato e come sempre la cucina a livello della aspettative emotive e di pancia. Preparazioni semplicissime, quelle proposte per il break dei degustatori. La scelta di servire O per e o muss, la trippa al pomodoro, le frittatine di maccheroni o semplicemente il Fior di Latte di Agerola, oltre alcuni primi con la Pasta Grano Armando – che è sponsor della manifestazione, ma che è anche un gran prodotto da grano 100% italiano – la dice lunga sul carattere schietto ma anche sulla intelligenza della famiglia Ferraioli.
Sapori autentici! E quali sennò?
Via Belvedere, 73,