Mi fa gran piacere leggere a firma di un’amica di bevute, sommelier e docente Ais: “Campania che va: lo spumeggiante luglio dell’Ais”. A firmare il resoconto, pubblicato da Luciano Pignataro (vai)e (vai al sito dell’Ais) di una serata davvero simpatica promossa dall’Ais Salerno alla quale sono mancata per la necessità di una pausa no wine nella mia settimana, è Michela Guadagno. Tra l’evento de l’Arcante di Pozzuoli dal titolo “Campania che vai…” (vai al post precedente), questo ultimo articolo, ed una serie di piccole manifestazioni di giubilo accompagnate da alcuni cari amici (lo zoccolo duro per qualcuno) con il grido di “Campania che va!”, mi trovo a constatare come sia orecchiabile e “appiccicoso” questo slogan nato con il mio blog. La cosa mi fa riflettere. Dopo aver a lungo cercato un nome per questa mia creatura virtuale, sono, infine, riuscita nell’intento che qualcuno lo facesse un pò suo. Di più: che inconsapevolmente fosse infettato dal suo “think positive” di base, dalla visione di una regione che si riappropria della propria identità e pretende, e costruisce, decisa, per se’ un futuro con più luci che ombre.
Vado indietro con il pensiero a più di un anno fa. Il primo post di questo mio blog è del 7 giugno 2007 e fa riferimento all’infiorata del 10 giugno. 7 e 10: due numeri che amo. Troppo facile pensare al capocannoniere argentino che ha fatto piangere Napoli di gioia. Ma ogni buon napoletano lo fa di default, tifoso e non.
Ricordo come fosse oggi quando mi spuntò in testa l’idea di uno spazio mio, dove dar sfogo alla mia voglia di raccontare una Campania diversa da quella che squarcia le prime pagine dei giornali con i suoi guai: la Campania che si fa trovare e che accoglie … la Campania mia. Molto prima che ne fossi consapevole, ora che ci penso, l’idea si fonda sulla conoscenza con l’indimenticato presidente dell’Arga e segretario dell’Ordine dei giornalisti campani Franco Landolfo, che con la sua solare umanità mi aveva incoraggiata alla scrittura in un periodo difficile, rivelandosi il primo dei campani che vanno di questo corso della mia vita. Sorridente, attento e generoso.
Ed eccomi, senza volere, a celebrare il compleanno di Campania che vai, passato sotto silenzio per l’impossibilità di ricostruire un anno intero di statistiche del blog (operazione che mi riprometto di portare a termine a novembre). Proprio oggi che mi vede a constare ancora una volta la gran voglia che c’è di sposare la sua logica persuasiva di base: ripartiamo dal racconto delle cose, e delle persone, “che vanno”. Quante ne ho scoperte intorno a me solo a sapere guardare con occhi diversi, in quest’anno! Il mondo del vino,dell’alimentazione e dell’agricoltura, o di coloro che li raccontano, in genere, ne sono pieni. Sarà perchè si misurano continuamente con la natura, con quel più grande di noi che ha una morale e delle regole alle quali non ci si può sottrarre che temporaneamente, per presunzione. Ed anche su quella, come tutto, si abbatte la sua falce. “Viva la Campania che va, quella dei giovani” diceva Luciano Pignataro (lui si un campione di promozione della Campania che va), in un post di qualche settimana fa. Gli faceva eco pronta Giulia Cannada Bartoli: “Avanti tutta”. Io con loro. E così via in una gara di entusiasmo che a volte quasi mi salta addosso dal video. E allora mi chiedo: quanto conta condividere un progetto, uno slogan positivo? Sorridere?
Mi viene in mente l’operazione “buon umore” lanciata dal nostro presidente del Consiglio che tanto successo sta riscuotendo tra gli italiani, anche i piu’ scettici, e tra i media internazionali. Mi sono sentita dir: “Ah, finalmente qualcuno che sorride!”. Che la sinistra sconti il fatto di essere troppo musona? Non è una tesi nuova. Silvio sorride di fronte ai problemi dell’Italia che non va e, già nel fare solo questo, le cose vanno meglio. Il meccanismo comunicativo è noto e si basa sul trade off ridere – piangere. Non c’è dubbio: tutti preferiscono ridere. Anche quando si inganna il vero. Per ripartire.
Studi clinici, del resto, affermano che durante una risata si liberano sostanze che attutiscono dolore e paura. Una risata, definita da Jacopo Fo’ nel suo “Guarire ridendo”, il cicatrizzante per l’anima, è un’attività che impegna ben 60 muscoli, contro i 20 del piangere. Chi ride si mantiene sano.
Chi ride in compagnia anche di piu’. “Campania che va, a voi tutti!.