Facendo il proprio lavoro, piccolo o grande che sia, si può cambiare il mondo. La riflessione, non inconsueta per me, mi è nata spontanea leggendo la notizia pubblicata dall’inglese The Guardian (vai) che ha affidato ad una commissione il compito di individuare le personalità del mondo dell’impresa, dell’agricoltura, della politica e fra i comuni mortali quelli che si distinguono per il loro apporto alla salvezza del Mondo.
Parlano di questo argomento, il web (vai Lifegate.it) e varie testate quotidiane. I top 50 hanno un ruolo importante nel «combattere inquinamento ed effetto serra, nella salvaguardia degli ecosistemi, nella promozione di metodi di sviluppo sostenibile, nella tutela di specie animali e vegetali in via d’estinzione».
Non ci sono supereroi. Piuttosto politici che lavorano per contrastarei cambiamenti climatici del Pianeta, attivisti che combattono le stragi di balene, ministri che difendono i polmoni verdi del Mondo, ma anche un agricoltore indiano considerato uno dei più grandi genetisti viventi.
La gran parte sono statunitensi, ma c’è anche un italiano: Carlo Petrini, il fondatore di Slow Food.
Vandana Shiva, ha sottolineato come «Petrini sia l’unico attivista anti-McDonald’s ad avere accesso agli uffici di David Cameron, David Milliband, Carlo d’Inghilterra, Al Gore e Barack Obama, oltre ad essere ammirato da buongustai facoltosi per il suo impegno per la qualità del cibo. E come il movimento Slow Food sia oggi presente in 100 Paesi dove sta combattendo la cultura delle multinazionali del settore agroalimentare, responsabili di gravi danni per l’ambiente».
Non è solo questione di difendere le piccole produzioni tipiche, ma di proteggere la biodiversità e di contrastare una logica di produzione e consumo nel settore agroalimentare che provoca gravi danni all’ambiente.
E mentre l’affare difesa della salute pubblica e dell’ecosistema si combatte, ovunque, a livello di sistema Pianeta, alle mie latitudini i sacchetti della spazzatura si spostano da un quartiere all’altro o, quando va bene, da una regione all’altra.
Tant’è che (peccato uno dei maestri presepisti napoletani questo Natale non ci abbia pensato) un amico tedesco, venuto a settembre a Napoli, conoscendo l’abitudine di alcuni di loro di aggiungere ogni anno un nuovo elemento o figura emergente dalla cronaca nazionale ed internazionale, suggeriva: “perchè non inseriscono i sacchetti anche nel presepe?”.
Non molliamo: Campania che va a tutti!