Lo so: sarò la più impopolare delle degustatrici e consumatrici di questo mondo, tuttavia ammetto candidamente che lo Champagne ancora non mi è entrato nel cuore. E non che non ne abbia sorseggiati svariati perfino in Francia e presso case di amici assidui consumatori del più colossale brand di territorio del mondo del vino.
Sarà perchè sono una razionale, in fondo, ma mi sono ormai convinta che per la maggior parte dei vini francesi, Champagne in testa, in ragione certamente di un tenore di vita molto più alto di quello che possiamo sostenere nel nostro stivalone rattoppato, si arrivi a bere davvero buoni gocci francesi solo salendo un bel pezzo di prezzo.
Sarà perchè sono una razionale, in fondo, ma mi sono ormai convinta che per la maggior parte dei vini francesi, Champagne in testa, in ragione certamente di un tenore di vita molto più alto di quello che possiamo sostenere nel nostro stivalone rattoppato, si arrivi a bere davvero buoni gocci francesi solo salendo un bel pezzo di prezzo.
Sono mal abituata, confesso, visto che il piacere di un gran bicchiere, per ragioni “professio – passionali”, me lo concedo spesso e volentieri. Non è questione di becero campanilismo, ma si trovano grandi vini italiani, del Sud, poi, non ne parliamo proprio, con un rapporto prezzo qualità più vantaggioso. Implicitamente, è ovvio, il presupposto: bere, a mio avviso, non deve essere un lusso per pochi.
Ma siccome quando si parla di Francia, si deve obiettivamente andarci piano, sono disponibile a ricredermi.
E allora, come è mio solito, ho già cominciato. E per farlo mi sono riproposta di iniziare daccapo: bevendoli e andarmi a cercare, devo dire, rare, occasioni per farlo oltre quelle che perseguirò nei miei consueti viaggi all’estero.
Una mi è stata fornita da una serata all’Enoteca Divinoinvigna che, in partnership con il Luciano Pignataro Wine Blog, propone nelle prossime settimane delle serate dedicate allo Champagne. Accompagnati dagli istruttivi commenti di Mauro Erro, che mostra sempre una bella capacità di semplificare argomenti complessi e di coinvolgere gli appassionati e i curiosi del mondo del vino, si scopriranno 20 calici. Mi appunto i nomi delle bottiglie degustate il 22 giugno, dunque, perchè Campania che vai nasce come mio taccuino elettronico. In linea con il mio presupposto, sono infatti, bottiglie con un costo fino ai 60 dollari.
Proverò a fare una semplice classifica che non ha velleità di verità. Una premessa: si tratta di piccoli produttori in un territorio di circa 33000 ettari e che fa circa 300 milioni di bottiglie.
Fuori “gara” (servito a sorpresa dopo i campioni in scaletta) metterei in cima Benoit Lahaye millesime 1998 Grand Cru. Uno Champagne di 12 anni l’ha vinta facile sugli altri, invero, per complessità ed eleganza, ma anche, a mio modo di vedere, per un’inconsueta solarità che me lo ha reso davvero “familiare” alla prima olfazione.
Fuori “gara” (servito a sorpresa dopo i campioni in scaletta) metterei in cima Benoit Lahaye millesime 1998 Grand Cru. Uno Champagne di 12 anni l’ha vinta facile sugli altri, invero, per complessità ed eleganza, ma anche, a mio modo di vedere, per un’inconsueta solarità che me lo ha reso davvero “familiare” alla prima olfazione.
Tra i miei preferiti entrambi i prodotti di Henri Chauvet, grande piccola maison di Rilly la Montagne paese Premier cru alle porte di Reims. Mi hanno particolarmente intrigato per la loro finezza che si esprime in maniera diversa: il primo (servito per terzo) Henri Chauvet Blanc de noirs Brut, per un naso elegante e delicatamente fiorito, per l’equlibrio in bocca; mentre Henri Chauvet millesime 2004 Cuvèe Blanche Premier Cru (servito per quinto) per la sua ricchezza e persistenza. A quest’ultimo, nel mio gradimento, ho anteposto solo Etienne Lefèvre Grand Cru Carte Blanche (maison di Verzy, a 20 chilometri da Reims) per la sua personalità eccentrica, un vino dalle rimarchevoli note minerali, quasi sbilanciato in bocca, molto mutevole nel bicchiere. E per questo originale, da non dimenticare facilmente per chi ama una beva non troppo “serena”.
Interessanti, infine, anche gli Champagne di Benoit Lahaye Rosé de Maceration (cioè fatto dalla macerazione di uve a bacca nera – in questo caso Pinot Noir), maison (priva di sito internet!) di Bouzy con vigneti anche Ambonnay e Tauières-Mutry che, a un colore e un naso accattivanti (netta la nota di mora) accompagna una bocca di sorprendente magrezza (che però sembra essere uno dei tratti della casa); e quello, poi, di Camille Savès Carte Blanche Premier Cru, maison anche questa di Bouzy, con radici nel paese risalenti al 1894. Il loro “base” che lungi dall’essere un vino minore, segna invece lo stile della maison ricercando la bevibilità e una certa morbidezza di bocca.
Interessanti, infine, anche gli Champagne di Benoit Lahaye Rosé de Maceration (cioè fatto dalla macerazione di uve a bacca nera – in questo caso Pinot Noir), maison (priva di sito internet!) di Bouzy con vigneti anche Ambonnay e Tauières-Mutry che, a un colore e un naso accattivanti (netta la nota di mora) accompagna una bocca di sorprendente magrezza (che però sembra essere uno dei tratti della casa); e quello, poi, di Camille Savès Carte Blanche Premier Cru, maison anche questa di Bouzy, con radici nel paese risalenti al 1894. Il loro “base” che lungi dall’essere un vino minore, segna invece lo stile della maison ricercando la bevibilità e una certa morbidezza di bocca.
In cerca di Champagne emozionanti … alla prossima!