C’è sempre un piacere speciale nello sfogliare un libro che apparentemente non corrisponde ai nostri interessi, un saggio, semplicemente per essere stati attirati dal suo titolo. E poi nel finire pian piano conquistati dal suo contenuto. Non fosse altro perchè il tempo da dedicare alla lettura non professionale è sempre meno. Mi è capitato con “Il Naso intelligente” di una Rosalia Cavaliere, docente di Semiotica delle lingue e dei segni all’Università di Messina. Il testo che ho presentato insieme all’autrice con Giovanni Ascione, Luigi Moio e Luciano Pignataro nelle settimane scorse a Galassia Gutenberg (vai al post precedente), detto in estrema sintesi, spiega la cattiva sorte dell’olfatto nella nostra società, relegato, insieme al gusto, tra i “sensi minori”. Avevo scherzato dicendo come “sappiamo di nasi lunghi, gobbi, di ficcanaso e di bugiardi e di molte altre immagini legate al naso, ma di nasi intelligenti non ne abbiamo conoscenza”. Sapevo, invece di essere al tavolo con degli esempi viventi di nasi di questo genere: chi sul fronte della degustazione del vino, chi su quello del suo studio chimico-olfattivo, chi per la pratica della ricerca e presentazione di una notizia. Il libro della Cavalieri mi è piaciuto per la sua davvero impressionante multidisciplinarietà e per la sua comprensibilità.
Da apprendista sommelier, prima, e da sommelier diplomata, forte di uno studio durato alcuni anni, la Cavalieri trova la prova, nell’arco delle oltre duecento pagine del testo, che, non solo che l’olfatto si può educare, ma anche che si tratta di un senso “muto” fino ad un certo punto. A sostegno della tesi, quello che chiama, appunto, “il naso linguistico”, colui che ha la necessaria capacità di associare odori e parole, di percepire e riconoscere, ma, soprattutto, di identificare gli odori e di dargli un’etichetta verbale attingendo all’esperienza, ai ricordi e ad un vocabolario olfattivo sufficientemente ampio. Vai alla recensione sul sito di Luciano Pignataro che ringrazio per l’ospitalità.