Scrive Luciano Pignataro sul suo blog: “Cari lettori, questo sito non ama le petizioni perchè preferisce dare voce a tutte le posizioni che si confrontano nella filiera agroalimentare di qualità. Ma quando una iniziativa mette in discussione le ragioni stesse del proprio lavoro allora bisogna rompere gli indugi e scendere in campo. Noi non potremmo mai più scrivere di un solo Cirò che abbia una goccia dichiarata di uva internazionale, il nostro commentare non avrebbe più senso. Il Cirò è uno dei vini più antichi dell’umanità, patrimonio di tutti. Pensare di inserire cabernet sauvignon, merlot e altri vitigni internazionali significa costruire un palazzo di cemento dentro il Colosseo, abbattere le case degli Scavi di Pompei perché vecchie, radere al suolo la Valle dei templi per farci un campo da golf. L’ottusità di chi vuole procedere in questa direzione è pari solo alla sua stupidità commerciale, alla sua insipienza umana. Per questo aderiamo all’appello e lo rilanciamo decidendo di sospendere gli aggiornamenti in home page per dare massima visibilità a questa iniziativa invitando gli amici e tutti gli operatori del settore che hanno un blog o un sito a fare altrettanto. Auspichiamo che associazioni importanti come Slow Food, Ais, Fisar, Assoenologi, Città del Vino, Onav, prendano immediatamente posizione. Raccogliamo migliaia di firme, impediamo questo scempio.” Mi unisco a lui in questo appello. A seguito delle modifiche proposte al disciplinare di produzione del Cirò DOC è iniziata una raccolta di firme IN DIFESA DELL’IDENTITA’ DEL VINO CIRO’.
Nella proposta di modifica avanzata dal Consorzio di Tutela del Cirò e Melissa si prevede la possibilità di utilizzare oltre al Gaglioppo tutte le varietà a bacca rossa autorizzate dalla Regione Calabria nella misura massima del 20%. Tra queste varietà sono presenti vitigni internazionali quali Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e Merlot che nulla hanno a che vedere con la tradizione vitivinicola del Cirò.
Bisogna chiarire subito che la denominazione di origine (DOC) è un bene collettivo. Un bene pubblico e proprio per questo normato da apposite leggi dello Stato. La DOC infatti rappresenta il vino di un territorio delimitato ed esprime le caratteristiche di tipicità di quel determinato “terroir”.
Queste caratteristiche includono, oltre alle condizioni pedoclimatiche, la storia, la tradizione e la cultura vitivinicola di un territorio, definendo l’identità del vino prodotto in quel territorio, in questo caso del Cirò, come prodotto unico ed irripetibile.
L’utilizzo di varietà internazionali (in quantità rilevanti come proposto nella modifica) porta ad uno svilimento dell’identità territoriale e all’omologazione del prodotto.
Perché allora un consumatore del nord Italia o estero dovrebbe ricercare il Cirò se le sue caratteristiche sono simili a mille altri vini? Perchè dobbiamo decirotizzare il Cirò? Perchè dobbiamo parificare la DOC Cirò alle IGT presenti sul territorio? Perché centinaia di produttori devono rinunciare alla loro identità di Cirotani?
Oltretutto per rispondere ad una presunta esigenza di mercato e di gusto globalizzato, le aziende vitivinicole dispongono già delle denominazioni IGT, che prevedono ampiamente l’uso di varietà internazionali.
La globalizzazione può rappresentare un’opportunità se permette la conoscenza e il confronto di prodotti e culture differenti, è deleteria invece se propone l’appiattimento dei valori e la perdita di identità.
Si può e si deve ri-guardare il territorio: averne riguardo e tornare a guardarlo; riallacciare con il presente saperi sapori e risorse del passato, senza nostalgie, permettendo una continuità con il futuro.
Ri-guardando nei vigneti del cirotano si riscontra che il Gaglioppo è sempre stato predominante, tanto che in altre zone della Calabria veniva denominato anche come “Cirotana”. In un passato non tanto lontano poi, erano presenti in piccole quantità altri vitigni (Greco nero, Malvasia nera, ‘Mparinata, Pedilongo, ecc.) che davano al vino maggiore complessità organolettica e miglioravano la tonalità del colore.
Recenti ricerche scientifiche hanno evidenziato le potenzialità enologiche del vastissimo patrimonio ampelografico calabrese, a dimostrazione che il ricorso alle varietà internazionali non è una scelta obbligata.
La forza del vino italiano, quindi anche del Cirò, risiede nella complessità e nella varietà del patrimonio ampelografico autoctono che rappresenta una risorsa da valorizzare piuttosto che da sacrificare.
Chiediamo pertanto che in un’eventuale modifica del disciplinare del Cirò Rosso Doc vengano autorizzate oltre al Gaglioppo esclusivamente varietà autoctone calabresi in quantità massima del 5%.