E’ una sagoma curva, gracile e grigia quella che risponde, nella fantasia comune, al nome di Giacomo Leopardi. Si fa avanti a passo lento, con qualche incertezza, rasentando il muro che separa passato e presente.
Quanti hanno lasciato il poeta de Il sabato del villaggio con questa immagine, e quanti se ne cibano ogni giorno, se lo portano a tavola, rinnovando questa passione con la testimonianza personale?
E questo ciò che è avvenuto alla fine dell’incontro di presentazione del lavoro realizzato a quattro mani di Antonio Tubelli e Domenico Pasquariello (Dègo) lo scorso 16 ottobre a Napoli. Un signore distinto si alza tenendo per sè il proprio nome. Esordisce cosi’ “Se mi permettete, io, è una vita intera che vado a tavola con Leopardi”. E’ uno dei momenti più emozionanti della serata. I presenti rimangono incantati ad ascoltarlo mentre lui visibilmente rapito dal racconto di un passato che, per lui, è quasi storia di famiglia, cerca lo sguardo dei presenti. A parlare, racconta poi, è un professore di Torre del Greco, plurilaureato. In un cinquentennio ha realizzato un intero museo di 6000 volumi su “Giacomo”, come lo chiama affettuosamente, ha raccolto i suoi oggetti, incluse qualche mattonella della bella cucina di Villa Ferrigni dove Leopardi trascorre con Antonio Ranieri e Paolina, sua sorella, alcuni dei suoi ultimi mesi di vita. Morirà a Napoli, racconta il professore, all’indomani dell’onomastico del fedele amico. Dopo aver mangiato, secondo la sua ricostruzione, ben 2 cartocci e mezzo di confetti cannellini di Sulmona (850 grammi l’uno). Gli stessi che lui stesso a consegnato al Museo del confetto della città abruzzese (vai).
E’ un Leopardi che ha un approccio disordinato, quasi complusivo, con il cibo quello che emerge dal racconto. Ma è anche un Leopardi meno grigio di quello che si immagina. Che fa scorpacciate di gelati a Piazza Carità, e sfogliatelle a Via Toledo. Che si fa deliziare dallo chef Pasquale Ignarra che lo inizia ad un mondo in cui il cibo è piacere. Un Giacomo, che invece che evitare la gente, indugia in lunghi bagni di folla tra le strade del capoluogo campano, lì dove le sue spoglie ancora si trovano. Sicuramente non appropriatamente valorizzate.
Di quel periodo, trascorso tra Napoli e Torre del Greco, restano molte cose. Tra le altre la lista autografa delle 49 preparazioni realizzate per lui da Ignarra, che il poeta appunta e che è il punto di partenza del libro.
Ne racconto il contenuto sul sito di Luciano Pignataro, che ringrazio per l’ospitalità.
Foto: la tomba di Leopardi a Napoli, da agendasumusnonsumus.