nel mio giardino ad Oklacà |
Vi voglio raccontare in che guaio mi sono cacciata. Da giornalista e blogger degustatrice di vino e piatti a tempo pieno, mi son trasformata in ristoratrice part time, per la stagione estiva. E per di più in Grecia in piena crisi. La situazione del Paese è nota a tutti per cui non mi dilungo. Posso dire solo che ha aggiunto un po’ di adrenalina al tutto, caso mai mancasse. Per ciò che riguarda mio marito e me, tutto calcolato. Almeno fin dove è stato possibile. Ma veniamo a noi. Non so bene come e quando sia accaduto che io abbia razionalmente deciso di far questa cosa, ma so che avevo bisogno di aria fresca, di mettere in campo alcune esperienze maturate nel campo della gastronomia cimentandomi in una cosa complessa. Ho avuto ciò che volevo non c’è alcun dubbio. E’ stato faticoso, ma da sabato 14 luglio, ricorrenza nota ai ribelli, il locale che abbiamo ideato ha aperto i battenti. In queste due settimane tante persone son passate già sulla nostra terrazza. Qualcuno ha alzato i tacchi quando gli abbiamo confessato di non avere gli spaghetti al salmone e le patate fritte, altri ci hanno giurato fedeltà eterna. Tra gli altri ospiti uno degli chef più importanti dell’isola e una principessa austriaca con la sua famiglia splendida di spilungoni. Oklacà è una locanda sul mare a Patmos. Ma siamo già alla fine, torniamo daccapo. Ripensandoci bene, c’è davvero qualcosa di strano nel mio Dna: non avevo finito il Master del Vino con l’Ais di Roma che già pubblicavo con Luciano Pignataro la App per Iphone e Ipad della Guida alle Migliori Pizzerie. Non contenta seguivano: il libro, alcune conferenze (tra cui un evento importante sul Falerno) ed, infine, la mia nuova navigazione nell’Egeo. Qualcuno mi ha detto, come si dice a Napoli, che “tengo (decisamente) l’arteteca”. La verità è che amo le sfide, sebbene mi costino molti sacrifici. A volte, vi confesso, arrivo ad amare l’essere esausta. Il nostro ristorantino è un luogo nel quale riverso la mia passione per il vino e per il cibo e soprattutto quella per condividere ciò che c’è di buono c’è al mondo. La voglia di accogliere con un sorriso, per esempio, di esercitare la nostra umanità, visto che è quella, si mormora, che ci fa uomini. In questi mesi d preparazione sono stata interior designer, ragioniera, operaia, selezionatrice di prodotti, assaggiatrice e molte altre cose. Il momento più bello? Quando una produttrice di formaggi di capra mi ha portato una campionatura dei suoi prodotti perché li adottassi in cucina. Mi sono sentita un vero chef, di quelli che mi incantano con i loro orti biologici e che scovano i prodotti più rari in ogni angolo di mondo. E’ quella inesauribile voglia di superarsi e di ricercare che fa di uno chef un fuoriclasse. Ma tornando alla mia avventura. Credo di aver messo in questo progetto il meglio di quanto nei miei 40 anni di vita sono riuscita a maturare ispirandomi al mio senso del dovere e alla mia insopprimibile libertà intellettuale. Lo ho fatto senza neanche accorgermene, tanto è stato naturale. Tra le altre cose credo che ci sia una buona dose dei miei pomeriggi spesi a disegnare al fianco di mio padre in ciò che si vede in questa casa E non so dirvi quale soddisfazione sia sentirsi chiedere “chi è l’architetto?”. E pensare fra me: “io!”. Avrei voluto essere architetto. Ma anche ricercatrice universitaria, biologa, ingegnere nucleare … chimico. Volevo una carriera difficile, rara. A questo punto lo vorrete sapere. No, sono lontana dal volermi trasferire a tempo pieno su questa spiaggia dove il tramonto è uno spettacolo da brividi. Non sono che all’alba della mia carriera. Ho molte cose da dare e da imparare. Per esempio aggiornare il mio libro sulla pizza, raccontare la bellezza del mio Sud tramite il mio blog, quello del mio collega Luciano Pignataro e tramite la rete di Slow Food che gentilmente mi accoglie dalle proprie belle pagine. Non lascio perché ho ancora bisogno di circondarmi delle persone che amo e di quelle che stimo. Ma se mi chiedete perché ci son venuta, qui, la risposta è “perché non voglio diventare un pollo, voglio stare con le aquile, quelle che sanno volare più alto di me e che mi possono mostrare le loro mirabili rotte”. Per far questo mi occorreva mettermi ancora alla prova. Nel mio locale, insieme allo chef Giuseppe del Gaizo, giovane determinato talento napoletano che ci ha seguito, come ogni buon sangue caldo del Sud, ad occhi chiusi, sono in cucina. Mia madre quando lo seppe mi chiese: “avevi bisogno di una laurea in economia e di un master per far questo?”. Per alcuni secondi pensai avesse ragione. L’insicurezza prese il sopravvento. Ma poi subito ritornai in me pensando: per cucinare occorre tutto. E occorre anche un ingrediente segreto. Beck annuirebbe. Sul suo, ha scritto un intero libro, ma non lo ha mai confessato a nessuno. In due occasioni l’ho ascoltato presentare il suo volume e solo la sua espressione quando gli chiedevano quale fosse l’ingrediente segreto, rendeva vagamente l’idea. In queste due settimane, tra le altre cose ho verificato che per cucinare occorre determinazione, concentrazione, pazienza, dedizione, amore. Ed ovviamente gusto. E questo non si crea dal nulla. Innanzitutto ho si ha o non si ha. E poi si alleva. Credo che le esperienze che ho maturato mi abbiano aiutato ad allevarlo. E’ un percorso lungo rispetto al quale sono solo all’inizio per fortuna. Come chef (che parola importante!) sono un’apprendista prudente con alcune idee chiare. Ma se sapessi già tutto, lo so, mi annoierei. Proverò a raccontarvi la mia avventura, delle mie interminabili giornate tra la spesa, la cucina, il vino, la sala e le cenette con il personale a fine serata. A tante ore di distanza dall’Italia, si finisce con una Sambuca, un Ouzo, un Limocello di Capri o di Sorrento. Con quel che resta in cucina o con quel che ci va per mantenerci leggeri dopo aver assaggiato un po’ tutto, tra una impiattata e l’altra. Ma la cena dei resti di una cucina italiana è per molti già da sè una delizia per la quale occorre ricevere formale invito.
Buona giornata.