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Ecco il contenuto della speciale di cinque pagine uscito con Il Mattino e curato da Luciano Pignataro.
Tre anni fa Don Alfonso sdoganò la pizza. Cosa è cambiato da allora nell’alta ristorazione campana?
di Francesco Aiello
Vizzari: la mia pizza? O è napoletana o non è
Intervista curata da Luciano Pignataro
Il libro di Antonio Mattozzi e la Guida di Monica Piscitelli
Pizzeria Salvo, il porto dei presidi Slow Food
Fabbrica dei Sapori di Battipaglia, la più grande pizzeria del Sud
Da Dumas a Massimo Troisi: attori, poeti, cantanti, scrittori incantati dal disco rosso
di Pietro Treccagnoli
Quando Clinton la mangiò a libretta nel 1994
L’abbinamento con le birre artigianali campane
di Marina Alaimo
La visita di Alberto di Monaco da Brandi nel 1997
Wartalia a Guardia Sanframondi: i vini per le pizze
Il ricordo di Aurelio Fierro
Ecco il mio articolo per Il Mattino:
di Monica Piscitelli
Quando si crede di aver capito tutto della pizza, del suo impasto, degli ingredienti per la sua farcitura e perfino della bevanda da abbinarci, un nuovo fronte di studio si apre per il curioso e l’appassionato della celebrata pietanza napoletana. Quel fronte si chiama forno.
Se ne sa pochissimo e non a caso. A dispetto dei disordinati, ma sempre più frequenti, tentativi di condivisione dei propri segreti da parte dei pizzaioli, gli artigiani del forno si avvantaggiano del non aver mai ancora guadagnato un posto sul palcoscenico della pizza. I costruttori della magica camera nella quale la pizza completa il percorso che la porta in tavola, vivono nell’ombra, percepiti come professionisti a metà tra un sofisticato muratore e un ingegnere edile. Incompresi e incomprensibili. E ciò sebbene non siano pochi i grandi pizzaioli napoletani che affermano che, per quanto buona possa essere la loro pizza, una cottura adeguata è l’unica garanzia per un risultato degno delle premesse.
Colorato“rotto” vietrese, fantasiosa composizione di tessere policromatiche o seducenti superfici di metallo brunito. Il forno si presenta in molti modi . Piccolo, intorno ai 75 centimetri; medio, il più comune, intorno ai 120 – 130 cm; e grande: prossimo al metro e mezzo. E c’è chi non rinuncia a misuralo in palmi: due e mezzo; quattro; cinque e cinque e mezzo. Mentre per quanto riguarda estetica, si va dai tre forni bicromatici di Tutino a Porta Nolana, a quello in marmo di Carrara di Marino a Santa Lucia, a quello variopinto di Trianon al centro storico. Solo per citarne alcuni.
Senza un preciso perché, il costruttore e il manutentore dei forni è un eredità che discende dai padri. Questo ha fatto si che pochi artigiani napoletani, richiesti in tutto il Mondo, si contendano la realizzazione dell’80% dei forni della città. Si chiamano D’Acunto, Agliarulo e Ferrara e, con impostazioni diverse, sono gli animatori di un’arte che, tra un segreto e una scaramanzia, si è evoluta loro malgrado riuscendo a mantenere uguale l’impostazione artigianale di base che premia la materia prima locale (pietre, mattoni, sabbia, cemento e arnesi fanno, in alcuni casi, anche lunghissimi viaggi affinchè nulla manchi durante le delicate fasi di lavorazione) e, talvolta, un touch un po’ folcloristico. Mario e suo figlio, ingegnere, non amano le favole. Per gli Acunto un forno deve adempiere alla propria funzione garantendo performance adeguate in tutto il mondo e, se segreto c’è, non di quelli che si nascondono esigendo di lavorare nel segreto di una cortina improvvisata come accadeva un tempo. Il nipote di Mast’ Ernesto, Ernesto, ha un pesante eredità da portare avanti: quella di un nome notissimo e rispettato nell’ambiente. Lo fa con orgoglio e impegno. Stefano Ferrara segue le orme del nonno. Per lui, l’unico con abboccamenti nell’emergente frangia di pizzaioli “gourmet”, la scelta dei materiali assume particolare rilevanza: dalla corona alla cupola, dal piano alla cappa esterna. Questi artigiani, e pochi altri, conoscono ogni dettaglio del funzionamento di un forno a legna, di uno a gas o di uno elettrico. Ne mettono in evidenza pregi e difetti nel giocarsi la partita della cottura di una pizza: a 450 gradi e in circa 90 secondi. Senza tempi supplementari. Alla fine vince l’insopprimibile esigenza di soddisfare le richieste del cliente, e del fornaio (se c’è), facendo un lavoro che, se realizzato a regola d’arte, assicura lunga durata e affidabilità al prodotto finale.