Accade spesso che un vino superi in fama gli uomini che lo producono. L’alea di mito che avvolge certe etichette, ricercate e pluripremiate, conferisce ai loro creatori un non so che di patinato. E con esso sopraggiunge un’incomprensibile insofferenza che le rende, per l’essere acclamate da tutti, quasi antipatiche. Nella testa di chi, nel vino, soffre della sindrome della primogenitura si fanno avanti i “ma” mai contemplati prima. Quando questo accade occorre tornare alla terra. Ritrovare gli uomini e guardare sotto. Il Costa D’Amalfi Ravello Fiorduva, da piccoli vitigni della Costa divina, dei quali probabilmente nessuno ricorda il nome tanto il vino è diventato famoso, ha, in questi anni, raccolto notevoli consensi di pubblico e di critica (l’Oscar del Vino quale migliore vino bianco italiano è del 2006). A far la sua parte il fatto che, nel 1995, è arrivata la DOC per i vini della Costa d’Amalfi e che Furore è stata individuata come una delle tre sottozone del disciplinare di produzione. In pochi anni il Fiorduva è diventato un campione dei listini e in alcuni casi oggetto di speculazioni al rialzo del prezzo che non sono piaciute soprattutto alla azienda che lo produce. Una giornata, come quella che ho trascorso qualche settimana fa all’azienda Cuomo, è da prescrivere ai più dubbiosi: la suddetta patinatura non c’è. In anteprima, in visita alla azienda Cuomo, degusto la produzione aziendale tutta. Davvero in gran forma in questo millesimo il Costa D’Amalfi Rosato 2011: profumatissimo, dinamico in bocca, succoso, sapido e lungo al punto giusto. Mi lascia un allegro saluto rosa a Furore al tramonto sulla via del ritorno a casa. Racconto della mia visita per Slow Wine 2013 a Furore su www.lucianopignataro.it.
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