Lo ha fatto di nuovo. Monica è uscita dal bar con due bicchieri in mano. Aveva varcato la porta dicendo “ti porto un vino, io prendo una birra”. Ma dopo due minuti, torna e i bicchieri sono due. Il sorriso è doppio anche lui. Quando mi dirigo a “il cortiletto”, come lo chiamiamo, per sedermi da “Arteteca” è perché ho voglia di un vino al calice
I ragazzi che lo gestiscono hanno solo due grandi meriti (il primo dei quali è solo segno di bun gusto): sono a ridosso dell’unica vera piazza della città (con tutta l’animazione culturale propria a un luogo del genere, fatta di universitari e artisti) e sanno scegliere il vino (cosa che mi spinge a tornarci). Ne aggiungo un terzo: lo servono al bicchiere.
Monica non transige “bevilo e basta”. Non mi vuol dire il nome della cantina: abbiamo da parlare di cose più importanti. Ma mentre lo appoggia sul tavolo ammette di amare il Pecorino per la sua sapidità. “Chi lo ha detto che le donne hanno gusto da donne?” penso.
Monica non transige “bevilo e basta”. Non mi vuol dire il nome della cantina: abbiamo da parlare di cose più importanti. Ma mentre lo appoggia sul tavolo ammette di amare il Pecorino per la sua sapidità. “Chi lo ha detto che le donne hanno gusto da donne?” penso.
Fa il solito fresco sotto il tetto di stelle di fine settembre e questo Pecorino dovrà essere del giusto conforto. Ce la farà? “I Righeira, come le Clarisse, già da un pezzo hanno suonato la fine dell’estate alla radio” penso sollevando la testa in direzione del cielo.
Un brivido mi corre per la schiena: “Ma se poi è uno di quei Pecorino affilati sulle rocce del Gran Sasso?”.
Qualcosa mi dice di no. Paglierino abbastanza carico e consistente. Sembra abbia una gradazione alcolica discreta. Ha, al naso, una buona intensità, un’accoglienza, direi, che si sintonizza su note calde. Proprio quelle che “ci stanno” con la caciottina e i salumi serviti come tapas.
Lo porto distrattamente al naso: frutta tropicale, fiori gialli, fieno al sole su un lieve tappeto minerale. Lo sorseggio tra una chiacchiera e l’altra. E’ un vino grasso, a due velocità: un ingresso ricco, marcato dalle note di frutta (mango, pera) che poi spinge su una sapidità considerevole. I due aspetti sono ben fusi tanto da conferirgli un carattere mangia e bevi. Una macerazione? A retrolfatto un ritorno di frutta fresca e un lungo finale sapido che si spegne lasciando comunque la bocca pulita.
Di facile beva e appagante (utile sapere, poi, che viene da soli 130 metri sul livello del mare, da terreni calcareo argillosi) come serve in una serata nella quale il vino è il compagno ma non il protagonista unico.
Un brivido mi corre per la schiena: “Ma se poi è uno di quei Pecorino affilati sulle rocce del Gran Sasso?”.
Qualcosa mi dice di no. Paglierino abbastanza carico e consistente. Sembra abbia una gradazione alcolica discreta. Ha, al naso, una buona intensità, un’accoglienza, direi, che si sintonizza su note calde. Proprio quelle che “ci stanno” con la caciottina e i salumi serviti come tapas.
Lo porto distrattamente al naso: frutta tropicale, fiori gialli, fieno al sole su un lieve tappeto minerale. Lo sorseggio tra una chiacchiera e l’altra. E’ un vino grasso, a due velocità: un ingresso ricco, marcato dalle note di frutta (mango, pera) che poi spinge su una sapidità considerevole. I due aspetti sono ben fusi tanto da conferirgli un carattere mangia e bevi. Una macerazione? A retrolfatto un ritorno di frutta fresca e un lungo finale sapido che si spegne lasciando comunque la bocca pulita.
Di facile beva e appagante (utile sapere, poi, che viene da soli 130 metri sul livello del mare, da terreni calcareo argillosi) come serve in una serata nella quale il vino è il compagno ma non il protagonista unico.
L’azienda: una cooperativa modello che fa scuola da cinquant’anni
(Poi lo scoprirò il nome della azienda, e vale la pena dir qualcosa).
La cantina cooperativa Tollo, presieduta da Tonino Verna, nell’agro di Chieti lavora oggi, su 3500 ettari di terreno, le uve di poco meno di un migliaio di soci.
Nata nel 1960 dall’unione di una ventina di soci per far fronte al fenomeno della emigrazione dilagante nell’Italia del secondo dopoguerra, quest’anno celebra il suo mezzo secolo di vita. Venti anni nei quali è cresciuta trascinando con sé l’intera comunità e ha ampliato notevolmente la sua gamma aziendale riuscendo sempre a coniugare i numeri con la qualità. Una realtà solida e una protagonista operosa della economia abruzzese e italiana. Questo impegno, celebrato a Tollo con un convegno cui ha partecipato, tra gli altri, il presidente Slow Food Roberto Burdese, è stato riconosciuto recentemente con l’elezione a migliore cantina cooperativa d’Europa da parte della rivista tedesca specializzata WEINWIRTSCHAFT (quindicinale della casa editrice Meininger Verlag, Neustadt an
der Weinstrasse) che ha confrontato la produzione di una trentina di cantine cooperative di Italia, Germania e Francia.
(Poi lo scoprirò il nome della azienda, e vale la pena dir qualcosa).
La cantina cooperativa Tollo, presieduta da Tonino Verna, nell’agro di Chieti lavora oggi, su 3500 ettari di terreno, le uve di poco meno di un migliaio di soci.
Nata nel 1960 dall’unione di una ventina di soci per far fronte al fenomeno della emigrazione dilagante nell’Italia del secondo dopoguerra, quest’anno celebra il suo mezzo secolo di vita. Venti anni nei quali è cresciuta trascinando con sé l’intera comunità e ha ampliato notevolmente la sua gamma aziendale riuscendo sempre a coniugare i numeri con la qualità. Una realtà solida e una protagonista operosa della economia abruzzese e italiana. Questo impegno, celebrato a Tollo con un convegno cui ha partecipato, tra gli altri, il presidente Slow Food Roberto Burdese, è stato riconosciuto recentemente con l’elezione a migliore cantina cooperativa d’Europa da parte della rivista tedesca specializzata WEINWIRTSCHAFT (quindicinale della casa editrice Meininger Verlag, Neustadt an
der Weinstrasse) che ha confrontato la produzione di una trentina di cantine cooperative di Italia, Germania e Francia.
Questa scheda è stata pubblicata dal Luciano Pignataro Wine blog.