Due novità nell’ambito delle Notti del Rosa e delle Bollicine che si sono concluse mercoledì alla Fabbrica dei sapori: le due degustazioni dedicate ai vini francesi curate da Giovanni Ascione e quelle curate da Francesco Muci e me, gruppo Slow Wine, dedicate ai produttori con vini di Puglia, Abruzzo, Campania e Basilicata.
Le degustazioni si sono aperte con alcuni dati e un breve resoconto sullo status quo del rosato che ho chiamato “Piccola indagine sul rosato che va e che non va” e che è il frutto di una piccola indagine che ho condotto nei giorni precedenti la kermesse tra appassionati, ristoratori, enologi, agronomi, sommelier, degustatori, sommelier, giornalisti e produttori.
Quello che è emerso dalla piccola indagine
LA VERSATILITA’ A TAVOLA e LA FRESCHEZZA/ BEVIBILITA’ (al 50% ciascuna) sono i PUNTI DI FORZA del rosato per gli intervistati. Solo per uno di loro, il COLORE.
Sui MOTIVI DELLA DEBOLEZZA la risposta è stata più articolata, gli intervistati hanno preferito spiegarsi, compilando sotto l’opzione “ALTRO”, uno spazio apposito. Emerge cosi’ che la PRODUZIONE NON E’ ALL’ALTEZZA, che, secondo gli intervistati, non sempre sono sfruttati i VITIGNI GIUSTI e che la tipologia soffre un difetto di COMUNICAZIONE. Una piccola parte confluisce sull’idea che il rosato è percepito come ANONIMO. Il fatto che i rosato possa dare l’IDEA DI UN VINO FEMMINILE, invece, non ha avuto il consenso che mi aspettavo. E questo sfata un primo falso mito sui motivi dello scarso gradimento del rosato. Quello del capitolo CONSUMO rappresenta un difficile passaggio. Piu’ della metà NON CONSUMA affatto rosato e dichiara di PREFERIRGLI sia bianchi che rossi.
Tra chi lo beve c’è un gruppo di INDEFESSI sommellier, o degustari, che lo consumano per lo più per RAGIONI DI LAVORO.
Per lo più questi non superano i 5 bicchieri al mese, solo un paio arriva a 5-15.
In ogni caso, la cosa sorprendente, è che i suddetti indefessi, per lo più, NON LO PROPONGONO AD AMICI O PER LAVORO (questo dato ha fatto emergere la necessità di un’azione mirata da parte dei produttori su ristoratori e sommelier, quelli che sono gli influenzatori del pubblico). Altra cosa interessante è che il rosato è dagli intervistati, se e quando bevuto, consumato con gli AMICI o a CASA. Quindi prevale una dimensione sociale di questo genere di vini.
Poi si passato ad esaminare le ragioni della presenza del rosato nella GAMMA AZIENDALE. 1/3 degli intervistati ha detto che è un COMPLETAMENTO desiderabile,
1/3 una pura esigenza COMMERCIALE e per 1/3 potrebbe essere (ma non è detto che sia) l’ESPRESSIONE DI UN VITIGNO O TERRITORIO.
Per fortuna nessuno ha dichiarato che è UNA TIPOLOGIA INUTILE e neanche LO SPAZIO PER UNA PRODUZIONE SCADENTE. Tutti, a parte i semplici appassionati intervistati, conoscono bene L’OFFERTA CAMPANA di rosati o VORREBBERO CONSCERLA MEGLIO.
Non si registrano, però, buone notizie sul fronte della valutazione della PRODUZIONE della CAMPANIA. Questa è considerata dalla metà degli intervistati BUONA e dalla metà MEDIOCRE. Interrogati su quali siano i TERRITORI più vocati per la produzione di rosati, escono fuori bene l’IRPINIA (mediamente 7 +), la COSTA D’AMALFI E COLLINE SALERNITANE (mediamente 7), seguite dal SANNIO e CASERTA (con una maggiore variabilità delle valutazioni per quest’ultima). MEDIOCRI LE ALTRE produzioni: NAPOLI, Campi Flegrei e Vesuvio, oltre al Cilento. Parlando dei VITIGNI più vocati alla produzione di rosato, meglio dell’AGLIANICO fa solo il PIEDIROSSO. Una sorpresa è la buona considerazione di cui gode il TINTORE. Una risicata minoranza segnala PALLAGRELLO E CASAVECCHIA.
Sono quasi tutti d’accordo che la produzione campana è SOTTOSTIMATA, 1/3 poi, approfondendo, dice che è IN CRESCITA, 1/3 che è IN RITARDO e 1/3 che non SI DISTINGUE AFFATTO.
Per quanto riguarda la POSIZIONE DELLA CAMPANIA, per nessuno la regione è leader. Alcuni non si sono espressi, ma chi lo ha fatto la vede preceduta in classifica dalla PUGLIA (della quale abbiamo Francesco Muci ha proposto in degustazione tre etichette), dai rosati del GARDA O e della LOMBARDIA in genere (penso a Corvina Veronese, la Rondinella, il Groppello e il Marzemino ma anche ai rosè di Franciacorta e Oltrepò Pavese) e da quelli dell’ ABRUZZO (due Cerasuolo sono stati proposti in degustazione) rispetto al quale segue o precede. Qualcuno, una minoranza, segnala ALTO ADIGE (pensiamo a Lagrein e Schiava) e SICILIA (pensiamo a Nero d’Avola, Nerello Mascalese e Syrah).
In generale, come valutazione finale, dei vini rosati campani si segnala la PIECEVOLEZZA, ma anche che sono WORK IN PROGRESS, il fatto che in sostanza siano ancora IN CERCA DI IDENTITA’.
E ancora alcune considerazioni sul rosato e le note di degustazione sulle due serate sul sito di Luciano Pignataro (qui).
Immagine. Giulia Cannada Bartoli per Luciano Pignataro Wine Blog