articolo scritto e pubblicato su www.lucianopignataro.it
Si, ha ragione Luciano che mi invita a metter giù due appunti: il progetto Tasca d’Almerita sullo Chardonnay, sul quale questa degustazione apre un’ampia panoramica dalle tinte dorate, merita di diventare pubblica. Ha infatti prodotto delle conseguenze di rilevanza storica.
L’introduzione dello Chardonnay in Sicilia, della quale si è fatta promotrice l’azienda, ha dimostrato che, sebbene in maniera diversa dalla sua espressione borgognona, questo fantastico vitigno, anche alle latitudini della più grande delle isole italiane, ha da dire molte cose. E, soprattutto, niente affatto banali.
L’azienda ha, insomma, tracciato una strada che è stata seguito da molti altri, inaugurando una stagione che ha cambiato la viticoltura del Sud: la grande rivincita dei bianchi. Bianchi senza i quali ormai sarebbe impensabile pensare in maniera ottimistica alla bilancia commerciale di molte regioni del Sud, tra le quali la Campania.C’è da rendergliene merito.
La verticale che a Roma, sotto la guida del sommelier e docente Ais Paolo Lauciani, ne ha proposti sei (dalla 2008 alla 1993) mi ha dato il senso di una grande visione, chiara sin dal principio; uno di quei “piani d’attacco” che solo una azienda con una lettura del proprio contesto e del mercato non dettata dalle impellenze del mero realizzo commerciale poteva avere. La visione di una grande azienda.
Questa verticale che, a consuntivo, è da valutarsi di grandissimo livello per la perfezione e il carattere di tutti, indiscriminatamente, i campioni in degustazione (c’è solo da decidere quale è quello che si gradisce di più), è la dimostrazione di come aziende di dimensioni significative, e che abbiano corrispondente “gusto”, ponendosi come discontinuità nella miriade di piccole e piccolissime che caratterizzano la viticoltura meridionale, abbiano sul territorio un effetto catalizzatore: accelerano i processi, innovano, sollecitano, indicano una strada. In ogni regione ce n’è stata una.
Penso al ruolo svolto dai Mastroberardino e i D’Ambra in Campania. Battitori solitari di una partita che molti si sono giocati 20 anni dopo o che ancora non si sono giocati del tutto.Ma tornando a Tasca d’Almerita. Al punto l’input dato dalla azienda sullo Chardonnay, in Sicilia, è stato importante che Contea di Sclafani è diventata, nel 1996, una Doc (il disciplinare contempla 11 comuni della provincia di Palermo, Caltanissetta e Agrigento, tra cui Sclafani Bagni, Vallelunga, Pratameno, Villalba, Cammarata) che prevede, tra le altre, una versione monovarietale Chardonnay. Senza dimenticare che l’impegno della azienda nella sperimentazione, sul fronte Sauvignon, ha portato alla individuazione di uno biotipo Tasca frutto della selezione portata avanti in un quarantennio.
Determinanti per questa etichetta due aspetti che consentono una raccolta piuttosto tardiva delle uve (fine agosto, prima settimana di settembre): l’altitudine dei terreni (intorno ai 600 metri e l’escursione termica significativa: fino a 15 gradi.
Lo Chardonnay, insieme ad altre varietà alloctone, entra nel mirino Tasca D’Almerita agli inizi degli anni Ottanta.
La prima annata prodotta è la 1989. E’ attualmente in commercio l’annata 2008, in quanto questa etichetta (con piccole variazioni di anno in anno) oltre alla fermentazione in legno (circa 15 gg a 18°C in barili di Rovere francese – Allier e Tronçais – da 225 litri che sono stati in passato anche da 300 e da 350 litri), fa anche in barili della stessa capienza e tipo ( per il 70% nuovi e per il 30% al secondo passaggio) una maturazione che dura 8 mesi. E poi un affinamento in bottiglia per 6 mesi.
La verticale: appunti di degustazione
2008 |88 punti
Paglierino carico con riflessi dorati e splendida luminosità. E’ mutevole al naso: sulle prime mostra un filo di ciccia in eccesso con qualche nota di nocciola e burro di cacao, su uno sfondo accennato agrumato, floreale e minerale; ma, più si scalda (già è stato servito fresco) più si ritrae e le proporzioni si invertono: vanno in primo piano il cedro candito, un delicato sentore di rosa bianca e una elegante mineralità accompagnata da note vegetali . In bocca, un ingresso tutte curve: avvolge la lingua con la sua ricchezza glicerica. Per un momento fa pensare “eccola là”, e invece poi ti spiazza: si accende con una sferzatina acida e ingrana la quarta progredendo in bocca facendo della sapidità l’assoluta protagonista. Finisce cosi’, con qualche ritorno vegetale. Lunghissimo. Note: in uvaggio quest’anno le uve del vigneto San Francesco con quelle del vigneto Ciffitelli. Alcol: 13,5% vol
2006 |92 punti
Paglierino carico con riflessi d’oro verde, appena appena meno luminoso del precedente. Da subito questo bicchiere parla, al naso, di mineralità (assimilabile all’odore di una testa di fiammifero), di una vegetalità esotica che fa pensare a un mango acerbo. Pur mostrando alla vista una consistenza lievemente superiore al precedente (conforterà, poi, il dato dell’estratto, poi: 26,5 contro 24,4), in bocca è più agile. Ingresso appena morbido e poi acidità e sapidità che scorrono piacevolmente, inseguendosi. Insieme danno al vino equilibrio e un notevole sviluppo, decisamente più lineare del precedente. La chiusura è sapida, tanto che, insieme a una sensazione di masticabilità, fa pensare al sangue. Un vino elegante e lunghissimo di grande gradevolezza. Alcol: 14 % vol
2003 |84 punti
Decisamente dorato, con riflessi ambrati. Luminoso. Il naso, complesso, concede qualcosa a note calde di frutta cotta (mela), miele di corbezzolo e fiori gialli (penso alla mimosa). Ne vengono, poi, fuori delle altre dello stesso genere, su uno sfondo minerale: caramella a orzo e banana matura. Al gusto mostra una decisa coerenza con una ricchezza fruttata importante, bilanciata da una freschezza adeguata e una sapidità che, pur non essendo paragonabile ai due campioni precedenti, si conferma una costanza di questa etichetta. Un lungo abbraccio caldo saluta la sua corsa in bocca che si spegne su un ritorno caramellato. Note: l’uva quest’anno è stata raccolta dal solo vigneto San Francesco. Alcol: 14,5% vol
2002 | 86 punti
Scintillante oro zecchino, per questo bicchiere. Netto, al primo naso, un sentore di olive verdi in salamoia che la nostra guida in degustazione definirà “tipico” dell’etichetta. Sembrerebbe un settore spiacevole a dirsi, ma questo campione è tutt’altro: emozionante. Offre un’ampiezza raffinata eppure goduriosa: mineralità (pietra focaia), un odore di fiori di ginestra, di farina di castagne, di pepe bianco su uno sfondo boisè e con qualche cenno mieloso. Il naso ha creato una grande aspettativa, e la bocca finisce per non essere alla sua altezza (altrimenti si sarebbe caduti da seduti dalla sedia!), dominata come è da una nota vanigliata e di nocciola tostata, che le fa perdere l’eleganza promessa. Paga questo scotto questo bel vino di impeccabile freschezza che vede sfuggire l’abbraccio tra la materia e l’alcolicità, mancandogli quella sensazione di pienezza che gli altri campioni avevano centrato. Un riverbero di erbe mediterranee, tra le quali il rosmarino, chiude la degustazione.
Note: l’uva quest’anno è stata raccolta dal solo vigneto San Francesco. Fermentazione e maturazione in barili da 300 litri. Alcol: 14% vol.
2001 |87 punti
Dorato e luminoso. Al naso il meno esuberante della batteria. Nitido l’attacco minerale con delle note di cerino spento e salamoia che si intrecciano con i toni resinosi dell’ambra e taluni sentori affumicati su uno sfondo di albicocca in composta. Naso e bocca in grande concordanza. Convicente il profilo atletico di questo campione: agile e proporzionato, con durezze e morbidezze in equilibrio che danno piacevolezza alla beva e lo connotano come un esemplare sobrio. Chiude con un ricordo retrolfattivo di foglia di fico, con tutti i suoi umori lattosi.
Note: si è vendemmiato il 7 settembre, più tardi rispetto agli altri campioni, collocati tra il finale di agosto e i primi di settembre. Fermentazione e maturazione in barili da 300 litri. Alcol: 14% vol
1993 |90 puntiDorato con riflessi ambrati, cristallino e vivace. E’ uscito come vino da tavola all’epoca, il 1993, che mostra un temperamento da gran maratoneta. A denunciare appena la sua età i sentori di albicocca secca, agrumi canditi e crema catalana su uno sfondo minerale che ricorda il concentrato da brodo, con le connesse erbe (timo in particolare). Mostra qualche filo di ossidazione nobile, ma non mostra di volgere affatto alla sua fine, come la bocca dimostra: in maniera imperterrita sorretta dalla freschezza giusta e da una saporosità. La beva è piacevole e il vino in linea perfetta con gli altri. I suoi 18 anni gli regalano un corpo asciutto e teso, un filo troppo per l’alcol che fa capolino nella corsa in bocca, finendo per asciugare il finale gradevolmente amaro. Note: l’uva quest’anno è stata raccolta dal solo vigneto San Francesco. Fermentazione e maturazione in barili da 350 litri. Alcol: 14% vol
Ringrazio Paolo Lauciani per le ricche informazioni a corredo della degustazione e l’Ais Roma guidata da Franco Maria Ricci per l’interessante occasione di riflessione.