ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA FALANGHINA E I BIANCHI CHE INVECCHIANO, proposte più in dettaglio sul sito di Luciano Pignataro (qui)
Cosa è faceto nel panorama del vino campano?
Parlando di falanghina si può asserire che, “scherzando e ridendo”, è di certo il vitigno a bacca bianca più coltivato della regione. Ecco un primo fatto serio più che faceto. Anche se non nuovo. C’è poi il secondo: si è ritagliata un ampio spazio non solo, ormai, tra i consumatori campani, ma a livello nazionale e internazionale.
Senza tema di smentita, guardando alla sua storia, si arriva alla conclusione che al punto ha dissetato per decenni le tavole di mare come vino di pronta beva, poco impegnativo, che ormai quasi non ci si badava più. La falanghina ha sofferto la tipica sorte di quel monumento che tutti vengono ad ammirare dall’estero ma al quale, per essere sulla strada di casa, ormai non si rivolge neanche più un’occhiata. Tutti la bevono e pochi la conoscono.
Ci si è seduti per decenni con la gola arsa e si è chiesta “una bella falanghina!”, quando andava bene. Oppure peggio, quasi come se si chiedesse l’acqua minerale: “un bel vino bianco rinfrescante”. E poi arrivava la falanghina.
LA VERTICALE
L’annata 2005
Dei campioni in degustazione è la più opulenta. Dorata. Al naso è intensa ed esuberante. Emergono subito le note fruttate, con una prevalenza di ricordi caldi di frutta a pasta gialla: pesca sciroppata, albicocca. Non mancano sensazioni di macchia mediterranee: salvia, e tra i fiori, la ginestra. In bocca viene fuori la sapidità. E’ lungo ed equilibrato.
L’annata 2003
Prevalgono le note fiorite in questo bicchiere, con ciò lasciando un po’ sorpresi: data l’annata tanto calda, è il campione precedente a corrispondere all’idea di un vino del 2003. “Puri schemi!” mi dirò mentre apprezzo questo bicchiere snello e ricco nei ricordi di erbe mediterranee. Restituisce perfino sussurrate e rinfrescanti note mentolate. Al gusto è fresco e minerale. Decisamente ha giocato a favore il microclima di Torrecuso e l’esposizione “svantaggiosa” a nord.
L’annata 2002
Trovo questo bicchiere il piu’ interessante. Un’annata (altro schema?) piuttosto nera. Piovosa, tanto funesta, che alcune aziende non sono uscite – poi pentendosi – con le loro etichette più prestigiose. Al naso ha delle note di pietra bagnata, una mineralità spiccata. C’è anche, con qualche ricordo di frutta gialla matura di base, una nota di pellame. Cresce la complessità in questa falanghina di 8 anni. Al gusto ha un ingresso soprendentemente morbido e guadagna il centro bocca scegliendo un’espansione orizzontale. E’ pieno, con quale ritorno salmastro.
L’annata 2000
Il meno intenso al naso. E’ forse quello meno ricco anche al gusto, della batteria. Ma elegante. Al naso evidenzia delle note di fiori bianchi, ananas matura, agrumate e con degli accenni sulfurei (l’idea è quella di una scatoletta di fiammiferi). In bocca è piuttosto sottile ma anche coerente. Finisce con una piacevole nota sapida.Poi lentamente si è cominciato lentamente a soffermarsi sulla sua matrice: beneventana, flegrea. E cosi’ via.
I tempi, suggeriscono manifestazioni come le Notti della Falanghina , sono maturi per il gran salto, per passare alle cose serie davvero: riconoscere che via via che si affina la conoscenza delle terra e l’uso delle tecnologie, via via che i produttori si appassionano a progetti di più ampio respiro, la falanghina diventa un’altra cosa. Entra in maniera determinante in gioco il fattore tempo.
Invero anche quest’ultimo è stato sempre stato preso in considerazione, ma in maniera opposta. Se fino a qualche anno fa era la falanghina a correre appresso all’orologio dato che la si pretendeva, come molti bianchi, dell’annata a tutti i costi; adesso, seppure in una cerchia di bevitori consapevoli, accade il contrario: il tempo rincorre la falanghina. Anzi meglio: i due duettano.
In questa nuova pagina di storia del bianco più popolare della Campania, “progetto” è la parola chiave. Oggi ancor più che ieri, diventa cruciale studiare a tavolino il vino perché possa vivere a lungo. Nessuna alchimia strana: darle più stabilità è il segreto. Lavorare sulla struttura, sulla acidità. Insomma qualcosa che si può conseguire relativamente semplicemente purchè ci si metta un po’ a pensare e si abbia davanti un orizzonte meno opprimente. Si scopre, mettendola alla prova, che la falanghina “sciocca sciocca” non è, anzi che riserva delle belle sorprese.