Un invito dell’amico Michele D’Ambra e in poche ore mi si aprono le porte del Circolo Savoia di Napoli che ha un’impareggiabile posizione di fronte al Castel dell’Ovo. Che bella la vita del Circolo nautico: aleggia nelle stanze un umore di vecchio, di mare e di sport, oltre che di antica nobiltà. Ieri sera ho avuto il piacere così di partecipare alla presentazione della Forastera, il nuovo monovitigno di Pietratorcia, azienda di Forio d’Ischia delle famiglie Iacono, Verde e Regine. Li trovo tutti lì Franco, Vito e Ambrogio Iacono e Vito Verde. Ovviamente. Una presentazione semplice, senza troppe congetture e chiacchiere: parla il vino ordinatamente disposto sul tavolo alle cui spalle si intravedono le barche e gli alberi dei velieri ormeggiati.
Monicotterate – Vini Pietratorcia impastati a vecchia nobiltà e salsedine al Circolo Savoia
L’etichetta della Forastera 09 è verde, “verde – penso- come il tufo dell’isola d’Ischia”. Ma il suo tappo è nero, di silicone. Curioso dettaglio. Il colore di quest’ultimo è quello di una pietra vulcanica di quelle che provengono dalla rapidissima solidificazione della lava: porose e piuttosto leggere. Corre il pensiero alla natura vulcanica dell’isola stessa della quale l’azienda è scrigno di “tipicità”.
Approfitto dell’occasione per provarle tutte (quasi) insieme, le etichette di Pietratorcia, intitolate alle vigne: Janno Piro 08 (Piedirosso, Guarnaccia e un filo di Aglianico), un vino fruttato e fresco senza pretese ma tradizionale e facile da abbinare con il suo corpo leggero e la sua giusta acidità; Vigne di Chignole (Biancolella, Forastera e un tocco di Fiano) un vino appagante, convincente che ha una freschezza e sapidità ben misurate e una rispondenza tra un naso accattivante ma non banale e un gusto fresco e lungo e che di quel pò di Fiano fa la sua nota elegante determinante (ne parla stamani qui Luciano Pignataro sul suo sito oggi che lo apprezza da tempo e che, apprendo, lo ha inserito nel suo 101 Vni da bere almeno una vita della vita); del Cuotto 08 (Biancolella, Forastera e alcune gocce di Greco) che ha una sorprendente acidità ma che non ha la pienezza del primo, secondo me perchè forse il Greco lo rende un pò scisso. O anche perchè, dice Pignataro, la posizione delle vigne è diversa. questo è il vino: un rebus ed è bello ragionarci sopra perchè comunque ti dice qualcosa e tu devi tendere le orecchie e mettere in moto il cervello. Vigne del Cuotto, è fresco e piacevolissimo, ma lo vedo decisamente a tavola, mentre il primo sta anche bene da solo. Infine una osservazione tecnica da comunicatrice del vino: l’etichetta del Vigne di Chignole, con un dettaglio del logo della azienda, che ha davvero una bella e curata immagine, mi fa pensare a un rosso. Stento a distinguerla da quella di Janno Piro.
Ecco, chiudo così: giusto due impressioni per una serata davvero inaspettata nella quale avrei mangiato tutta la forma di Parmigiano Reggiano scavata e piena di tocchetti . E’ un ricordo quasi embrionale, quello che mi lega a questo formaggio, tanto amato quanto discusso. Ma sempre un bel testimonial della italianità, fin troppo copiato.