Parliamo di vini irpini, dopo quelli di Napoli e Caserta con Benevento. Il pubblico è quello degli enoturisti. Ecco il mio terzo articolo per Where. Qui il testo in italiano. MP
La passione per il vino si fa, sempre più, cosa seria. L’appassionato e l’estimatore esperto trovano nella visita alle cantine un motivo di viaggio in più. C’è chi sogna un viaggio alla scoperta dei vini della Champagne, piuttosto che del Bordeaux o della Borgogna e chi realizza nel week end quello nella cantina a pochi chilometri da casa.
Il vino ha il pregio di riportare gli enoturisti alla terra, ai valori della campagna. Esso è espressione di una agricoltura specializzata che in Italia ha un volume d’affari e un indotto di grandissimo peso. Un esempio du tutti: gli spumanti italiani, a dispetto della crisi, volano alto senza subire battute d’arresto dettate dalla crisi. Per dirla in breve, nel nostro viaggio attraverso il vino campano sviluppatosi negli ultimi due numeri di Where abbiamo sottolineato come l’approccio al vino sia “slow”.
I tempi di una degustazione corretta e soddisfacente, specie di quelli da invecchiamento, passa per alcuni step. La scelta della bottiglia, la sua cura in cantina, il suo abbinamento, la sua apertura e poi il suo servizio vanno fatti con calma. E con una certa competenza, possibilmente. Inutile ripeterlo: no a vini troppo immaturi, no a vini bianchi troppo freddi o a rossi troppo caldi, no a bicchieri senza gambo, no a inutili scaraffature, no (peggio) al ghiaccio nel vino e così via.
Vale la pena, analizzando i vini di Irpinia, che completano il nostro viaggio, parlare proprio dei vini da invecchiamento. Solo pochi vini, davvero molto invecchiati, richiedono la scaraffatura. L’uso del decanter aiuta l’ossigenazione di quelli che son stati tappati per più di cinque anni e l’eliminazione del deposito che, lungi dall’essere un difetto, palesa l’applicazione di tecniche di cantine rispettose della materia che costituisce il vino, a tutto vantaggio della sua autenticità.
Quando si parla di invecchiamento il pensiero corre ai vini rossi. Ma taluni vini bianchi, adeguatamente progettati in tal senso non sono da meno. E l’apertura di una vecchia bottiglia di questo genere che riveli il sublime viraggio del liquido dal giallo pallido al giallo oro zecchino, oltre a quello dei profumi verso i terziari più sofisticati, da una speciale soddisfazione. Perché resta ancora una sorpresa inaspettata, in molti casi. L’Irpinia, le cui porte sono i caselli autostradali di Avellino Ovest e Est, è ricca di incontri soprendenti.. Siamo di fronte ad una terra dura per le condizioni pedoclimatiche, il contrario del sogno marinaro che normalmente si associa a un viaggio in Campania, il cui immaginario è legato alla costa, alle isole, al Vesuvio e in generale al caldo estivo. La provincia di Avellino, con un viaggio di 40 minuti dal capoluogo campano, si presenta fosca, sempre fresca , o almeno con importanti escursioni termiche tra giorno e notte. Orograficamente è collinare, se non montagnosa. I terreni migliori sui cui crescono le viti di aglianico, piuttosto che greco di Tufo e fiano, sono poveri e con una peculiare influenza di materiali vulcanici provenienti dal, solo apparentemente, lontano vulcano napoletano. Eccone alcuni esempi di cantine molto note ma altrettanto esemplificative di questi vitigni centrali del panorama vitivinicolo campano.
MASTROBERARDINO
Definire la azienda della famiglia Mastroberardino di Atripalda la portaerei del vino campano dà un’idea forviante del progetto di questa cantina storica ma rende bene la sua importanza sotto molti punti di vista: l’affidabilità nel tempo e la sua abilità nel dialogo con i mercati. Se cercate una bottiglia campana all’estero potete star certi che di questa, e di poche altre, la troverete. Il Taurasi Radici e Radici Riserva nelle annate migliori sono commoventi. Grandissimi rossi di cui si fanno verticali di degustazione in tutto il mondo. Ma i Fiano, più profumato e morbido, e i Greco di Tufo non sono da meno. L’uno, ad esempio, con uno stracotto e gli altri, quando maturi, con Risotti mantecati a formaggi stagionati in grotta o anche, l’ultimo, con piatti a base di interiora.
COLLI DI LAPIO DI CLELIA ROMANO
Questa signora del vino campano ha superato di molto, e da un bel pezzo, i confini nazionali con le sue bottiglie di Fiano di Avellino pluripremiate. Dire Lapio in campania significa scandire il nome della Docg di Fiano omonima. Un vitigno che sembra aromatico dal punto di vista gusto olfattivo e che col tempo guadagna complessità. Il segreto è nelle escursioni termiche e nei costanti venti che pettinano i vigneti a circa 500 metri sul livello del mare. Non patiscono malattie e catturano la vitalità della terra irpina. Quando giovane questa bottiglia è piacevole su tutto, anche sulle bruschette al pomodoro. Quando è matura la amerete su un piatto a base di aragosta.
CANTINE DI MARZO
L’Azienda della famiglia Di Marzo è storica. E lo è nel senso più completo del termine: a partire dalla magnifica struttura scavata nel tufo dalla quale escono le sue bottiglie. Siamo di fronte a generazioni di produttori, oggi rappresentate da una gestione moderna e professionale che propone una gamma di Greco di Tufo per varie occasioni e tutte interessanti. Non ultime, con la raccolta anticipata, come si suol fare, gli spumanti che sono davvero ricchi.
A noi piacciono, in particolare, per quel che riguarda i fermi, le espressioni base, tutte lavorate in acciaio. In questo caso, questo vitigno che qualcuno chiama il “bianco più rosso della Campania”, per la sua struttura importante e per la sua attitudine all’invecchiamento, si abbina agli antipasti di mare, come una insalata di polpo. Quando è spumante è un aperitivo perfetto e non banale. Da utilizzare anche a tutto pasto con tutti i piatti di mare, con il fois gras o anche con un buon calzone ripieno classico napoletano.